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Arthur Rimbaud Dunque il poeta è veramente rubatore di fuoco
Rimbaud, Lettera del Veggente


SU RIMBAUD...







ARTHUR RIMBAUD, considerato l'incarnazione del poeta maledetto (ma guarda un po’…!), nacque a Charleville nel 1854 in una tipica famiglia borghese (dove non ebbe né l'affetto del padre, che assai presto lasciò la famiglia, né quello della madre, inflessibile e tiranna). Educato in famiglia ed a scuola secondo gli schemi più tradizionali, si segnalò per la straordinaria precocità intellettuale componendo versi sin dall'età di dieci anni; a 16 anni rifiutò di colpo tutti gli schemi secondo cui era stato educato, fuggì ripetutamente di casa, cominciò il suo vagabondaggio: visse tra esperienze di ogni genere, senza escludere alcol, droga e carcere. Si rifiutò di tornare a scuola e, nel corso di una nuova fuga, incontrò Paul Verlaine, amicizia che fu decisiva nello stimolare la straordinaria e precocissima vena creativa del poeta adolescente. Tentò di raggiungere Parigi dove, alla caduta dell'Impero di Napoleone III, era sorta la Comune. Proprio nel '70 ebbe inizio l'avventura letteraria di questo enfant prodige (che cominciò a comporre imitando Hugo e i parnassiani), un'avventura che durò cinque anni, durante i quali scrisse tutte le sue opere più importanti. Riscosse grande successo tra i poeti simbolisti e nell'ambiente intellettuale parigino, ma questo successo fu effimero, e ben presto Rimbaud si ritrovò a essere ignorato e dileggiato. Nel 1872 mise fine al suo movimentato soggiorno parigino e ritornò a Charleville, dove però non ottenne stima né comprensione. Continuò tuttavia a frequentare Verlaine, che l'accompagnò a Londra, poi a Bruxelles, dove scrisse una parte delle Illuminazioni e Una stagione all'inferno (1873). Verlaine pose fine al loro legame burrascoso nel 1873, ferendolo con un colpo di pistola. Rimbaud abbandonò la poesia (dopo aver distrutto quanto poteva dei suoi scritti) e si lanciò in una vita d'avventure, che lo vide insegnante a Londra nel 1874, scaricatore di porto a Marsiglia nel 1875, mercenario nelle Indie olandesi e disertore a Giava nel 1876, al seguito di un circo nel 1877, capomastro a Cipro nel 1878. Infine, nel 1880 si stabilì come commerciante in Abissinia. Verlaine, pensando che Rimbaud fosse morto, ne pubblicò le Illuminazioni nel 1886. Nel 1891, Rimbaud ritornò in Francia per sottoporsi a cure mediche per un tumore a un ginocchio, a causa del quale morì in quello stesso anno. La prima adolescenza si potrebbe riassumere raccontando le fughe da Charleville, le ribellioni, le lunghe ed esaltanti camminate nella campagna, le letture più disparate: dai libri di scuola a quelli di viaggio fino ai libri di alchimia e della cabala. Le poesie scritte in questo periodo attestano la ricerca di una forma poetica; oscilla tra l’imitazione dei parnassiani e quella di Victor Hugo. I suoi versi esprimono la gioia e l’esaltazione delle solitarie passeggiate, le prime emozioni sentimentali, la propria potenza immaginativa, l’ironia crudele per la vita meschina della borghesia di Charleville. Rimbaud, il poeta visionario, volle rinnovare la poesia e, con l’audacia dei giovani, fece tabula rasa di tutta la retorica precedente, rinnegando persino Baudelaire – giudicato a suo avviso trop artist, e poiché non gli restava alcun mezzo che non fosse falsato, non si fidò che della sua sensazione pura. Inventò quindi la poesia della sensazione, traducendo in poesia quello che si potrebbe chiamare lo stato psicologico da cui nascono, senza alcuna interferenza, i nostri atti. Al pensiero puro corrispose un ugual linguaggio ed un ugual ritmo che riassume tutto: profumi, suoni e colori. Rimbaud si trovò così alla punta estrema di ogni audacia letteraria e poetica, dove né i simbolisti né i surrealisti riuscirono a seguirlo. Rimbaud non ebbe discepoli e neppure imitatori, nondimeno fu allora come oggi il punto di partenza di ogni audacia poetica.


Arthur Rimbaud - collage
LA POESIA di RIMBAUD

La poesia di Rimbaud cancella i tradizionali legami logici, le categorie (di tempo e spazio, di causa ed effetto) che per secoli avevano regolato la poesia. La parola non è più solamente un mezzo di comunicazione ma ha il compito di evocare un mondo tutto fantastico. Una stagione in inferno (1873) è una specie di diario autobiografico immerso in un'atmosfera demoniaca nella quale i momenti fondamentali della vita: l'infanzia, l'odio-amore per la madre, la solitudine, il degrado sociale, si trasfigurano nei simbolismi della magia, dell'odio, della veggenza. Nelle Illuminazioni, scritte nel 1874 e successivamente pubblicate da Verlaine, il poeta tentò di realizzare il "deragliamento dei sensi" mediante brevi componimenti poetici in cui si evidenziano allucinazioni, impressioni fugaci, tentativi di espressione nuova. Ne emerge un nuovo modello di poeta, il poeta-veggente che si oppone al modello di poeta civile, di poeta-vate; il poeta-veggente calpesta le istituzioni, i valori e la morale borghese, si abbandona alla più folle sregolatezza dei sensi.


Rimbaud - incisione
IL POETA "VEGGENTE"

La parabola di Rimbaud inizia nel 1870 con la raccolta Prime poesie, ma già l'anno seguente egli rinnega questi versi e raccomanda all'amico Paul Demeny di bruciarli. Allo stesso Demeny invia nel '71 una lettera in cui espone la nuova estetica del "poeta veggente":

"Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa, ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; cerca se stesso, esaurisce in se stesso tutti i veleni per serbarne la quintessenza. ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la sovrumana forza, e dove diventa il gran malato, fra tutti, il gran criminale, il gran maledetto, e il supremo Sapiente! Infatti giunge all'Ignoto! Poiché ha coltivato la sua anima, già ricca, più di qualsiasi altro! Giunge all'Ignoto. Egli ha un incarico dall'Umanità, dagli animali anche: dovrà far sentire, palpare, ascoltare le sue scoperte. Se quel che riporta di laggiù ha una forma, dà una forma: se è informe dà l'informe..."

In questa lettera Rimbaud apre delle nuove prospettive poetiche, in direzione simbolistica e surrealistica: la poesia deve svilupparsi attraverso immagini che non vogliono esprimere concetti, ma sono esse stesse dei concetti, idee queste che aveva già concretizzato nel poemetto Battello ebbro e nel sonetto Vocali, scritti agli inizi del '71. Nel poemetto, attraverso il simbolico viaggio di un battello fantasma, egli rappresenta la sua stessa vita, il suo bisogno di andare alla ricerca dell'ignoto, il bisogno di immergersi nel mistero universale; nel sonetto instaura una fittissima rete di corrispondenze fra i suoni e i colori, giungendo a intuizioni arditissime, che si snodano attraverso un serrato procedimento sinestetico. Le vertigini del veggente, espresse con immagini allucinate, in una prosa libera da ogni logica e controllo razionale, sono raccolte nelle Illuminazioni che rappresentano l'ultima tappa poetica di Rimbaud; un'opera questa che vide la luce nel 1886, grazie a Verlaine, e a lungo erroneamente ritenuta anteriore a Una stagione all'Inferno. Qui Rimbaud porta alle estreme conseguenze le corrispondenze baudelairiane, in un linguaggio talmente nuovo, magicamente musicale, che riassume e fonde colori, suoni e profumi con suggestive allucinazioni e audaci metafore.


Rimbaud ritratto di T. DuPlenty
DOCUMENTI

Rimbaud scrive la Lettera del Veggente…:

«Il romanticismo non è mai stato giudicato per bene. E chi avrebbe saputo farlo? I Critici! I Romantici, che stanno a provare come la canzone sia così di rado l'opera, il pensiero cioè, cantato e capito da chi canta? Poiché Io è un altro. Se l'ottone si sveglia tromba, non è affatto colpa sua. Per me è evidente: assisto allo schiudersi del mio pensiero: lo osservo, lo ascolto: lancio una nota sull'archetto: la sinfonia fa il suo sommovimento in profondità, oppure d'un balzo è sulla scena. Se i vecchi imbecilli non avessero trovato, del "me stesso", soltanto il significato falso, non avremmo da spazzar via i milioni di scheletri che, da tempo infinito, hanno accumulato i prodotti della loro orba intelligenza, e se ne proclamano gli autori!»

«Ho detto che in Grecia versi e lire ritmano l'Azione. Dopo, musica e rime sono giuochi, sollazzi. Lo studio di quel passato delizia i curiosi: molti se la godono a rinnovare queste anticaglie: - a loro sta bene. L'intelligenza universale ha sempre lanciato le proprie idee, con naturalezza; gli uomini raccoglievano una parte di quei frutti del cervello: si agiva mediante, se ne scrivevano libri: si andava avanti così, poi che l'uomo non lavorava a se stesso, non sveglio ancora, o non ancora nella pienezza del grande sogno. Funzionari, scrittori: autore, creatore, poeta, quest'uomo non è mai esistito! Il primo studio dell'uomo che si vuole poeta è la propria conoscenza, intera; cerca la sua anima, la scruta, la saggia, la impara. Quando l'ha saputa deve coltivarla; sembra semplice: in ogni cervello si compie uno sviluppo naturale; tanti "egoisti" si proclamano autori; ben altri ce ne sono, che si attribuiscono il loro progresso intellettuale! – Però si tratta di rendere l'anima mostruosa: alla maniera dei comprachicos, insomma! Immagini un uomo che si pianti e si coltivi le verruche sul viso. Dico che bisogna essere veggente, farsi veggente.

Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato sregolarsi di tutti i sensi».

«Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; cerca egli stesso, esaurisce in se stesso tutti i veleni, per conservarne soltanto le quintessenza. Ineffabile tortura nella quale ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale diventa fra tutti il gran malato, il gran criminale, il gran maledetto, - e il sommo Sapiente! - Poiché giunge all'ignoto! Avendo coltivato la propria anima, già ricca, più di ogni altro! Giunge all'ignoto, e anche se, sbigottito, finisse col perdere l'intelligenza delle proprie visioni, le avrebbe viste! Crepi pure, in quel balzo tra le cose inaudite e ineffabili: altri lavoratori orribile verranno; cominceranno dagli orizzonti sui quali l'altro è crollato! (...)

Dunque il poeta è veramente rubatore di fuoco.

A suo carico sono l'umanità e perfino gli animali; egli dovrà sentire, palpare, ascoltare le sue invenzioni; se quello che riporta da laggiù ha forma, darà forma; se è informe, darà l'informe. Trovare una lingua; - Del resto, ogni dire essendo idea, il tempo di un linguaggio universale verrà! Bisogna essere accademico, - più morto d'un fossile, - per rifinire un dizionario, di qualsiasi lingua. I deboli che si mettessero a riflettere sulla prima lettera dell'alfabeto, potrebbero precipitare presto nella follia! – Questa lingua sarà anima per l'anima, riassumendo tutto, profumi, suoni, colori, pensiero che aggancia il pensiero e tira. Sarebbe compito del poeta definire la quantità d'ignoto che si ridesta nell'anima universale del suo tempo: egli darebbe di più - della formulazione del proprio pensiero, della notazione della sua marcia verso il Progresso! Enormità diverrebbe norma, assorbita da tutti, egli sarebbe veramente un moltiplicatore di progresso! Questo avvenire, lo vede, sarà materialista. - Sempre ricchi di Numero e di Armonia, questi poemi saranno fatti per restare. - In fondo, sarebbe di nuovo un po' la Poesia greca.»


J.N.A. Rimbaud, Lettera a Paul Demeny, 1912. In: Opere, a cura di D. Grange Fiori, Milano, 1975, pp. 450-59

Arthur in cartolina

...ancora una biografia:


ARTHUR RIMBAUD, considerato l'incarnazione del poeta maledetto (e daje!), nacque a Charleville nel 1854 in una tipica famiglia borghese (dove non ebbe né l'affetto del padre, che assai presto lasciò la famiglia, né quello della madre, inflessibile puritana imbevuta di religiosità). L'abbandono della famiglia da parte del padre, quando il piccolo Arthur aveva solo sei anni, segnò certamente tutta la sua vita, anche se in maniera più sottile di quanto si possa immaginare. La scelta del padre condannò infatti non solo la sua famiglia alla povertà, ma lasciò la responsabilità dell'educazione dei figli solo alla madre, che non era certo un esempio di liberalità.

Educato dunque in famiglia ed a scuola secondo gli schemi più tradizionali, si segnalò per la straordinaria precocità intellettuale componendo versi sin dall'età di dieci anni, incoraggiato da un maestro locale nei suoi tentativi di scrittura.

A sedici anni, seguendo la sua inclinazione visionaria e selvaggia, buttò all'aria con decisione la tranquilla vita che gli era stata preparata, fuggendo dapprima ripetutamente di casa poi intraprendendo un vagabondaggio solitario che lo portò lontanissimo dal suo ambiente familiare. Una delle prime fughe verso Parigi coincide con la stesura del suo primo poema (la data è quella del 1860). Arrestato però per non aver con sè il biglietto del treno, fu costretto a fare ritorno a casa.

Il questo lungo peregrinare visse tra esperienze di ogni genere, senza escludere alcol, droga e carcere. Scappato infatti ancora una volta a Parigi, in quei giorni convulsi si entusiasmò per la comune di Parigi, viaggiò a piedi, senza soldi, attraverso la Francia in guerra, e fece vita da strada. Fu allora che cominciò a leggere ed a conoscere poeti considerati "immorali", come Baudelaire e Verlaine. Con quest'ultimo ebbe poi una lunga, appassionata storia d'amore, talmente difficoltosa e lacerante che, nell'estate del 1873, durante un soggiorno in Belgio, Verlaine, in uno stato di ubriaca frenesia, ferì l'amico ad un polso e venne incarcerato. Ma l'influenza più duratura su di lui fu indubitabilmente quella di Baudelaire.

Influenzato inoltre da libri di alchimia ed occultismo che andava leggendo, incominciò a concepire se stesso come un profeta, un santo della poesia e, in due lettere, conosciute come "Lettere del veggente", elaborò la concezione secondo cui l' artista deve conseguire la " confusione dei sensi".

Rimbaud fece ritorno alla propria casa, dove scrisse uno dei suoi capolavori, UNA STAGIONE ALL' INFERNO. Nel 1875, all' età di ventuno anni, Arthur smise di scrivere, ma, sempre viaggiatore ed amante delle lingue, partì verso est, navigando sino a Giava, trovò lavoro come capo miniera a Cipro, stabilendosi infine,nell' Africa dell'est, dove trascorse i suoi ultimi anni come commerciante e contrabbandiere di armi. Nel 1891 un tumore alla gamba lo costrinse a fare ritorno in Francia per ricevere adeguate cure mediche. Fu proprio lì che, in un ospedale marsigliese, morì il 10 novembre dello stesso anno. La sorella Isabelle, che stette con lui sino alla fine, dichiarò che, in punto di morte, egli aveva riabbracciato la stessa fede cattolica che aveva caratterizzato la sua infanzia – forse bugia in un ultimo e illusorio tentativo di Isabelle a restaurare un po’ la reputazione morale del poeta.

Rimbaud percorse come una meteora. tutto il cammino che portava da Baudelaire al simbolismo, colto nella sua fase decadente e moribonda, e ai presentimenti del surrealismo. Teorizzò, con coscienza più lucida di ogni altro decadente, la tesi del "poeta veggente", capace di pervenire, per mezzo di uno "sregolamento" di tutti i sensi., a una visione dell'ignoto che è nel contempo visione dell'assoluto. Dove l'arte di Rimbaud coincide con la sua vita è nel "rifiuto dell'Europa", nel "disgusto dell'Europa": il rifiuto includeva anche se stesso, la propria formazione ed estrazione, anzi da lì partiva. Coerentemente, la vita di Rimbaud fu una frenetica ricerca del proprio annullamento, perseguito con tutti i mezzi, compresa la non pubblicazione delle proprie opere (lasciate in giro manoscritte e poi raccolte da Verlaine), e forse la soppressione, subito dopo la tiratura, dell'unica opera da lui stampata, Una stagione all'inferno.

Infine, si può dire che Rimbaud è il più grande e integrale interprete poetico della crisi nichilistica e, come molti autori dei tempi di crisi, è caratterizzato da una potente ambiguità, che permetterà infatti interpretazioni divergenti della sua poesia: basti pensare che Paul Claudel potè leggere nella Stagione all'inferno una sorta di inconscio itinerario verso un dio sconosciuto ma necessario, mentre tanti altri vi hanno scorto il supremo momento negativo di tutta una cultura, culminante nella consapevolezza dell'inutilità della tradizione e nel suo radicale ripudio. Fra le più rilevanti e più fertili prove dell'ambiguità della poesia di Rimbaud (e, al limite, di ogni poesia), sta appunto il fatto che quest'opera di distruzione si sia tradotta in una stupenda opera creativa; che la sua istanza di libertà "contro" ogni istituzione (compresa la letteratura) si sia verificata in un grandiosa proposta di liberazione attraverso la letteratura".



Frasi di Arthur Rimbaud...
    ~ La morale è la debolezza del cervello.

    ~ Quando hai diciassette anni non fai veramente sul serio.

    ~ Solo l'Amore divino conferisce le chiavi della conoscenza.


Sketch di Rimbaud

...e poi un’altra:

LA VITA DI RIMBAUD

Nacque il 20 ottobre 1854 a Charleville. La sua famiglia venne precocemente abbandonata dal padre, e costretta a un regime di dura poverta' che mise il piccolo Arthur a contatto con la realta' dei coetanei poveri. M.me Rimbaud, guidata dall'ambizione, proiettata piu' sul futuro dei propri figli che dall'affetto per loro, isolo' il giovane Arthur, il quale si immerse negli studi, con un accanimento tanto profondo quanto il suo desiderio di affetto. 1870: l'amatissimo insegnante di Rimbaud muore nel conflitto franco-prussiano. Arthur ne è sconvolto.

La fuga da casa lo conduce in una Parigi mefitica, costringendolo a una vita da strada. Il ribellismo è totale. Legge poeti considerati "immorali" come Baudelaire, si nutre di filosofia e occultismo, superando con una forsennata voracia intellettuale il regime esistenziale squallido e "maudit" nel senso deteriore del termine. Mentre prende forma la sua poetica di corrosione alla tradizione e di creazione dell'idea novecentesca di avanguardia, nel 1871 Rimbaud conosce Paul Verlaine, con il quale intreccia una relazione che scandalizza la Parigi letteraria. Rimbaud assume droga, vive in maniera dissoluta: è inavvicinabile da tutti, tranne che da Verlaine.

Il quale, nel '72, abbandona la moglie e parte col giovane Arthur alla volta di Londra. Ma e' una relazione destinata a un esito drammatico: l'anno successivo Arthur lascia l'amante, che reagisce con un autentico attentato, sparando a Rimbaud e colpendolo al polso. Verlaine finisce in prigione. Ci rimarra' per diciotto mesi. Rimbaud invece si apre al fervore della scrittura e completa "Una stagione all'inferno". Ha solo diciannove anni. Prima del ventesimo compleanno giunge a una decisione irrevocabile: non scrivera' piú. Parte per l'Africa dove, da principe maledetto dell'avanguardia, evolvera' in mercante e contrabbandiere d'armi. Colpito da sifilide, gli viene amputata la gamba destra. Torna in Francia, a Marsiglia, nel giugno 1891, assistito teneramente dalla sorella Isabelle. Il 10 novembre dello stesso anno muore dando inizio a una leggenda senza pari.


Foto di Verlaine
VERLAINE E RIMBAUD

Nel 1871 Rimbaud invia i versi de "Il battello ebbro" al poeta che ammirava. Verlaine lo legge e si accorge di essere di fronte a qualcosa di veramente nuovo, ad una poesia che sintetizza genialmente tutto il cammino della lirica francese da Baudelaire ai simbolisti con una nuova disposizione visionaria e onirica. Il rapporto iniziale tra i due è quello che si stabilisce fra un maestro e un discepolo, che viene introdotto nei circoli poetici della citta', ma presto l'incontenibile esuberanza e la sregolatezza del diciassettenne Rimbaud contagiano Verlaine. Questi, ventisettenne, sposato, con la moglie incinta, subisce il fascino della personalita' dell'adolescente, a tal punto che abbandona la moglie e si reca con l'amico prima in Belgio, poi in Inghilterra, e quindi di nuovo in Belgio.

Durante questi avventurosi vagabondaggi i due vivono di lavori occasionali e si danno senza riserve all'alcool e alle droghe. Dal punto di vista poetico, il viaggio porta alla composizione di "Una stagione all'Inferno" e di "Illuminazioni". Ma il loro legame è destinato a degenerare. Dopo che Verlaine venne scarcerato in seguito al colpo di rivoltella sparato all'amico, a Stoccarda i due si rincontrano. Verlaine è appena uscito dal carcere, si è pentito dei passati errori ed è ritornato nel seno della Chiesa. Arthur lo induce a bere e a bestemmiare la sua fede, poi durante una passeggiata nella Selva Nera, lo colpisce con un bastone durante una lite e lo lascia per terra, tramortito. Per entrambi, questo rapporto sara' decisivo, unico e insostituibile; non riducibile nemmeno alla scandalosa normalita' di un rapporto omosessuale ("Lo si intenda come si vuole, era diverso", scrive Verlaine ne Il poeta e la musa della raccolta Un tempo e Poco fa). Presto Rimbaud rinuncera' alla scrittura. Per Verlaine l'amico rappresentera' la rottura di ogni desiderio di normalita' e un termine di perenne nostalgia.


Acquerello di Verlaine e Rimbaud

L'UOMO DALLE SUOLE DI VENTO

A 19 anni (settembre 1873) scrive gli ultimi versi. Comincia così la sua vita da avventuriero e incessante viaggiatore. "L'uomo dalle suole di vento", lo defini' Verlaine. Thibaudet, nel saggio Mallarmé et Rimbaud del 1922 rileva l'importanza poetica del vagabondaggio. "Rimbaud era un chemineau, un vagabondo, per cui la vita per gran tempo consistette nell'andare indefinitamente a piedi per le vie maestre. È in questo modo che percorse una parte dell'Europa e dell'Africa. [...] Il Voyage di Baudelaire e' il viaggio di un sedentario,

"Il battello ebbro" (una delle maggiori poesie di Rimbaud) il viaggio di un viaggiatore, di un maniaco dello spostamento che [...] porta nel sangue le potenze vagabonde del movimento per il movimento. [...] E' letteratura scentrata, esasperata dall'ottica della marcia e da una testa surriscaldata di vagabondo... Quasi tutti i frammenti delle Illuminazioni sembrano redatti su un ciglione, su un campo, su un margine di strada, da un uomo in cui la marcia, l'aria aperta, hanno sviluppato furiosamente le potenze del sogno. [...] La sensazione di stranezze, di freschezza, di colori riaccesi, di mondo nuovo, che ci sorprende allora, e' ben conosciuta da chi ama le passeggiate in montagna."

"Mentre vagabondava per l'Europa e l'Asia, un amico gli chiese: "Scriverai ancora?". "Non ci penso piu'. E in un'altra conversazione "Tutto denaro sprecato. È assolutamente idiota comprare libri, e specialmente libri di tal genere [poesie]. Quando disponete i libri negli scaffali della vostra biblioteca, raggiungete un unico scopo: quello di nascondere le magagne della parete."




RIMBAUD IN AFRICA

Finalmente l'occasione tanto desiderata gli porge l'Africa. Vivra' quasi tutto il resto della sua vita nei paesi adiacenti al Mar Rosso. Abbiamo pero' pochissime notizie di questo periodo della sua vita. Nel frattempo Verlaine lo pubblica a sua insaputa ne "I poeti maledetti". Ma lui non scrive piú» al massimo, invia qualche articolo alla Societe' de Graphie. Quando nel 1886 gli scrivono che la stampa delle sue opere stava facendo di lui un mito e un modello, parla della sua poesia come cosa "assurda" e "disgustosa". Non tutti i critici credono senza riserve a queste affermazioni. Bardey testimonia che Rimbaud continuava a leggere e a scrivere, e a preparare il suo rientro nel mondo delle lettere. Dopo 12 anni di Africa, avverte disturbi a una gamba, ma li trascura. Si tratta - scopriranno poi - di un tumore al ginocchio destro. Quando il dolore è intollerabile, viene portato per 350 km in barella fino ad Aden, e poi in Francia. A Marsiglia gli viene amputata la gamba. Ma non serve a nulla. La metastasi è ormai diffusa in tutto il corpo e, dopo alcuni mesi di sofferenza, muore il 10 novembre 1891 a Marsiglia, assistito solo dalla sorella. La carriera poetica di questo "passante considerevole" - scrive Mallarmé - fu come il bagliore di una meteora, accesa senz'altro motivo che la sua presenza, nata e spentasi da sola."



L'ANTICRISTIANO E IL MISTICO

Sul rapporto tra Rimbaud e il Cristianesimo e' stato scritto tutto e il contrario di tutto. Il cristianesimo gli era stato fatto odiare dal pietismo e dal moralismo del suo ambiente, dalla rigida devozione della madre. Il positivismo che largamente circolava nella sua epoca gli offre abbondanti argomenti polemici. Solmi sostiene che quella di Rimbaud sia una mistica poetica, piú che religiosa, di cui Una stagione all'inferno registra lo scacco. "Il fondamentale senso di inaccettazione della realta'... finisce col postulare al suo limite un'altra realta', che non e' detto abbia a coincidere - anzi in principio se ne differenzia - con la realta' trascendente ipotizzata dalle religioni, ma in qualche modo le è affine. Dapprincipio è la stanchezza, la discesa degli aspetti del mondo al loro punto piú basso di indifferenza e di interscambiabilità, la noia di Leopardi e Musset, lo spleen di Baudelaire. Poi la vertigine, la dissolvenza e l'organizzazione di un mondo fatto di pura esteticita' fuori dalla storia." (Saggio su Rimbaud, Einaudi, 1974, p. 37).



LO SREGOLAMENTO DEI SENSI

Il metodo della ricerca poetica è lo "scardinamento di tutti i sensi" (Solmi), alla ricerca di visioni sempre nuove. Rimbaud parla di una coltivazione dell'anima che, però tenda a scardinare ogni ordine piuttosto che a crearne. Senza questa partecipazione totale dell'anima e dei sensi non si ha autentica poesia e soprattutto la suprema sapienza. Lo sregolamento produce un'estasi, una uscita da se', una liberazione dai limiti dell'individualita'. Una questione molto frequentata riguarda il posto che l'uso delle droghe aveva in questo sregolamento. Probabilmente Rimbaud fece uso di hashish, anche se il suo alto costo paragonato alle scarse finanze del giovane spinge a dar loro un posto troppo ampio.



IL POETA COME VEGGENTE: LA VISIONE

Rimbaud vuole esplorare nuovi territori dell'io. La poesia è concepita come attività visionaria, che ha il compito di dar voce all'ineffabile. Dice suggestivamente: "Scrivevo dei silenzi, delle notti, notavo l'inesprimibile, fissavo delle vertigini". La poesia scaturisce, come in Mallarme', da una allucinazione. Essa e' una intuizione istantanea, un lampeggiamento di immagini sconvolgenti che conducono chi vi si abbandona verso una dimensione ulteriore; " è un pugno, da cui si ha la vista per un istante abbagliata."



L'USCITA DAL SE’

"Io è un altro", recita la "Lettera del veggente". "L'Io che deve esprimersi nella poesia non è quello individuale, con i suoi accidenti personali e le sue particolarità irripetibili; non è il soggetto pensante e agente e che riproduce, piu' meno filtrate, le sue proprie impressioni. È qualcosa che ci trascende e ci coinvolge in una realtà piú vasta, nel senso che senza escludere noi stessi si pone come entita' diversa e onnicomprensiva, o e' noi stessi negli altri, io e non-io, partecipando cosi' del piú possente respiro della vita universale."



LA PAROLA DEL VEGGENTE

Si devono forzare percio' sregolare i mezzi percettivi. I sensi sono forzati a oltrepassare i loro limiti per scoprire "cose inaudite e innominabili", forme di vita aberranti e fascinosi. Quella del veggente e' una "lingua dell'anima per l'anima". Essa "riassumerà tutto: profumi, colori, suoni, pensiero che uncina il pensiero e che tira". La base da cui parte la poetica di Rimbaud è fornita dal Baudelaire ("il primo veggente, re dei poeti, un vero Dio", afferma nella "Lettera del veggente") delle "Corrispondenze", che concepisce la realta' come una ineffabile foresta di simboli e pratica la sinestesia come espressione poetica dell'unita' cui i simboli rimandano.


disegno
-- Alcune scelte (poi vedi la pagina POESIE etc.):

SENSAZIONE

Le sere blu d'estate andrò per i sentieri,
Punzecchiato dal grano, a pestar l'erba fine:
Sentirò, trasognato, quella frescura ai piedi,
E lascerò che il vento bagni il mio capo nudo.

Io non dirò parole, non penserò piú nulla:
Ma l'amore infinito mi salirà nel petto,
E lontano, lontano, andrò come uno zingaro,
Nella Natura, - lieto come con una donna.


ZINGARESCA (FANTASIA)

Andavo, con i pugni nelle tasche sfondate,
Ed anche il mio pastrano diventava ideale;
Andavo sotto il cielo, Musa, ed ero il tuo fido;
Quanti splendidi amori ho mai sognato allora!

Negli ultimi calzoni avevo un largo squarcio.
- Pollicino sognante, sgranavo nella corsa Rime.
L'Orsa Maggiore mi faceva da ostello.
- Le mie stelle nel cielo dolcemente frusciavano;

Le ascoltavo, seduto sul ciglio delle strade,
In quelle sere dolci di settembre e sul viso
Le gocce di rugiada m'eran vino gagliardo;

E, rimando nel cuore di fantastiche tenebre,
Tiravo, come fossero delle lire, gli elastici
Delle scarpe ferite, col piede accanto al cuore!


VOCALI

A nera, E bianca, I rossa, U verde, 0 blu: vocali!
Un giorno ne diro' le nascite latenti:
A, nero vello al corpo delle mosche lucenti
Che ronzano al di sopra dei crudeli fetori
,
Golfi d'ombra; E, candori di vapori e di tende,
Lance di ghiaccio, brividi di umbelle, bianchi re;
I, porpore, rigurgito di sangue, labbra belle
Che ridono di collera, di ebbrezze penitenti;

U, cicli, vibrazioni sacre dei mari viridi,
Quiete di bestie al pascolo, quiete dell'ampie rughe
Che alle fronti studiose imprime l'alchimia.

O, la suprema Tuba piena di stridi strani,
Silenzi attraversati dagli Angeli e dai Mondi:
- O, l'Omega ed il raggio violetto dei Suoi Occhi!


DA "UNA STAGIONE ALL'INFERNO",
LA PREMESSA

"Un tempo, se ben ricordo, la mia vita era un festino in cui tutti i cuori s'aprivano, in cui tutti i vini scorrevano. Una sera, ho preso sulle ginocchia la Bellezza. - E l'ho trovata amara. - E l'ho ingiuriata. Mi sono armato contro la giustizia. Sono fuggito. O streghe, o miseria, o odio, è a voi che è stato affidato il mio tesoro. Riuscii a far svanire dal mio spirito ogni umana speranza. Su ogni gioia, per strozzarla, ho fatto il balzo sordo della bestia feroce. Ho invocato i carnefici per mordere, morendo, il calcio dei loro fucili. Ho invocato i flagelli, per soffocarmi colla sabbia, col sangue. La sventura è stata il mio dio. Mi sono disteso nel fango. Mi sono asciugato al vento del delitto. Ed ho giuocato ottimi tiri alla pazzia. E la primavera mi ha portato il riso terrificante dell'idiota. Orbene, essendomi trovato di recente sul punto di fare l'ultimo crac!, ho pensato di ricercare la chiave del festino antico, in cui potrei forse riprendere appetito. La carità è questa chiave. Questa ispirazione prova che ho sognato! "Resterai iena, ecc." ribatte il demonio che mi ha incoronato di cosí amabili papaveri. "Giungi alla morte con tutti i tuoi appetiti, e il tuo egoismo e tutti i tuoi peccati mortali." Ah! me ne ha dette troppe; Ma, Satana caro, te ne scongiuro, una pupilla meno irritata! e in attesa delle piccole vigliaccherie in ritardo, per te che ami nello scrittore l'assenza di facolta' descrittive o istruttive, io strappo questi pochi e ripugnanti foglietti dal mio taccuino di dannato."



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Rimbaud
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